16 Gennaio 2025, 9:07
16 Gennaio 2025, 9:07
Home » Sabrina Molinaro: «La ricerca indirizza al meglio le politiche di salute pubblica»

Sabrina Molinaro: «La ricerca indirizza al meglio le politiche di salute pubblica»

di Annarita Cacciamani
La ricercatrice del CNR in questa intervista afferma che vorrebbe avere la possibilità di raccontare qual è il valore aggiunto dell’utilizzo dei dati alle istituzioni e alla popolazione, perché c’è molta disinformazione e mancanza di fiducia nella ricerca.

Sabrina Molinaro, ricercatrice del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), dell’epidemiologia a supporto della programmazione socio-sanitaria ha fatto la sua mission. «Utilizzare a fini di ricerca i dati che il sistema sanitario nazionale raccoglie per ottemperare al debito informativo in ambito amministrativo consentirebbe di individuare i bisogni della popolazione e di indirizzare in modo più efficiente le politiche di salute pubblica», afferma. Per avere un quadro realistico della complessità dei bisogni espressi da ogni cittadino, però, secondo Molinaro sarebbe necessario integrare tutta la documentazione socio-sanitaria che lo riguarda.  «Purtroppo, a oggi l’attività di integrazione fra più dati, nota come data-linkage, risulta fra quelle più penalizzate dalla normativa a tutela dei dati personali, ovvero dal GDPR», aggiunge.

Facciamo un passo indietro: da dove nasce e come si sviluppa il suo interesse per l’epidemiologia e la ricerca?

Il mio interesse per l’epidemiologia nasce in maniera casuale. Subito dopo aver conseguito la laurea in psicologia clinica, mi sono resa conto che ciò che più catturava il mio interesse non era l’osservazione del singolo, ma la comprensione delle dinamiche del contesto e della comunità di riferimento del paziente. Ho cominciato, quindi, a dedicarmi all’osservazione dei gruppi. Ho portato avanti interventi sui NEET, cioè quei ragazzi che abbandonano la scuola e non lavorano, e successivamente ho cominciato a collaborare con il Consiglio nazionale delle ricerche attraverso varie forme di precariato. Nel tempo mi sono interessata agli stili di viti di adolescenti e adulti, e a oggi ho acquisito una competenza a 360 gradi nell’area della salute pubblica. In particolare, mi sono focalizzata sull’identificazione e osservazione delle popolazioni nascoste, cioè di quei gruppi di persone che condividono determinati comportamenti o fattori di rischio e sono identificabili proprio tracciando ed analizzando la diffusione di tali fattori in un determinato territorio.

In Italia il Sistema Sanitario Nazionale prevede la raccolta di una serie di flussi amministrativi potenzialmente di estremo interesse per la ricerca. Qual è la sua esperienza con queste fonti di dati secondarie?

La mia esperienza nasce dallo studio delle popolazioni nascoste. Prima dell’entrate in vigore del GDPR nel 2016, in ambito di ricerca esisteva la possibilità di usare, naturalmente tutelando la privacy dei cittadini, i dati raccolti a fini amministrativi dal sistema informativo sanitario nazionale. Dall’integrazione fra varie fonti di dati era possibile rilevare contestualmente i livelli di malattia, la distribuzione di specifici fattori di rischio e le abitudini della popolazione, identificando al contempo sottogruppi di soggetti che condividevano livelli di rischio per la salute più elevati. Era possibile, inoltre, tracciare la loro domanda di assistenza e il ricorso al supporto farmacologico su prescrizione medica. Come si può immaginare, queste rappresentano già di per sé informazioni preziose per definire un’offerta di cura più efficiente, tempestiva e appropriata rispetto ai bisogni espressi. Con il recente avvento dell’Intelligenza Artificiale (AI), queste informazioni hanno assunto un valore ancor maggiore rispetto alla possibilità di definire e validare una base di conoscenza condivisa, svincolata dalle umane potenzialità del singolo clinico, ma a totale supporto del ruolo imprescindibile del rapporto fra il paziente e il suo medico di riferimento. 

Photo: kanchanachitkhamma / Canva

L’approccio più recente alle attività di promozione e prevenzione della salute richiede una valutazione integrata di numerosi aspetti sociali e sanitari. La possibilità di integrare diverse fonti di dati rappresenta un valore aggiunto per la ricerca in sanità pubblica, il progresso delle cure, la sorveglianza epidemiologica e molti altri aspetti della salute. Qual è il suo punto di vista in merito?

Il Sistema Sanitario Nazionale raccoglie routinariamente una mole enorme di dati su tutta la popolazione italiana, per scopi amministrativi. Questi dati hanno una notevole potenzialità informativa anche in termini socio-sanitari. L’integrazione fra le varie basi di dati raccolti è un’attività relativamente semplice e poco costosa. Purtroppo l’attuale normativa a tutela dei dati personali non ci consente di sfruttare appieno l’enorme potenziale delle informazioni disponibili. Per chi fa ricerca su questi temi è frustrante: è come avere una Ferrari in garage, ma essere costretti a spostarsi con un trattore che rende ogni manovra troppo lenta e faticosa rispetto al tempo a disposizione per raggiungere una meta. Considerando che la nostra meta è la salute dei cittadini, trovo anche moralmente poco accettabile che questi ritardi si ripercuotano in modo particolare su coloro che mostrano bisogni più complessi e poco tempo a disposizione, come le persone affette da malattie gravi o croniche. Peraltro, in un momento storico in cui attraverso il PNRR l’Europa ci impone tempi di risposta sempre più rapidi, le limitazioni imposte dalla normativa attuale rappresentano un ulteriore fardello che grava sulla possibilità di soddisfare le esigenze di salute della popolazione in tempi rapidi e in modo appropriato, soprattutto in condizioni particolarmente critiche come quelle sperimentate durante la recente pandemia da Covid.

Se avesse la possibilità di utilizzare un “superpotere”, quale sceglierebbe per superare gli ostacoli introdotti dalla normativa sulla privacy in Italia?

Vorrei avere la possibilità di raccontare qual è il valore aggiunto dell’utilizzo dei dati alle istituzioni e alla popolazione. C’è molta disinformazione e c’è mancanza di fiducia nella ricerca. Si parla molto delle potenzialità dell’intelligenza artificiale e dei rischi ad essa connessi, ma non esiste una reale consapevolezza diffusa circa i meccanismi che regolano l’educazione di questi sistemi complessi e la necessità di grandi moli di dati che ne deriva.

Come le piacerebbe evolvesse nel prossimo futuro la ricerca nel nostro Paese?

La ricerca in Italia ha bisogno di risorse. Il Consiglio nazionale delle ricerche non fa concorsi da anni e i giovani arrivano solo con contratti a termine. Con queste prospettive, i ragazzi non si avvicinano al nostro mondo. La ricerca va fatta dai giovani perché hanno idee nuove, curiosità ed innate capacità di muoversi in un mondo sempre più digitale. Noi senior dobbiamo mettere a disposizione l’esperienza maturata, guidarli e coordinare la loro attività. Più che mai oggi, i risultati si ottengono soltanto lavorando in gruppo.

Annarita Cacciamani

Ti potrebbe piacere

Lascia un commento

My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare.