3 Ottobre 2024, 12:48
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Parto indotto: sicurezza e nuove prospettive secondo Fabrizio Bogliatto

di Veronica Rossetti
Fabrizio Bogliatto, direttore di Ginecologia e Ostetricia a Ivrea e del Dipartimento Materno Infantile ASLTO4, illustra i metodi più efficaci per l’induzione al parto e offre consigli alle donne che si trovano di fronte a questa scelta.


Aiutare le donne a partorire serenamente anche con l’induzione al parto è ormai una prassi consolidata anche in Italia. A questo proposito il Dottor Fabrizio Bogliatto ci spiega le nuove frontiere in campo medico-scientifico e come queste tecniche possano offrire soluzioni sicure anche per le gravidanze a rischio alla luce delle più recenti scoperte.

Quali sono le principali differenze tra parto naturale e indotto?   

Il parto indotto è una procedura medica e in quanto tale richiede un ricovero ospedaliero: la paziente deve essere informata adeguatamente delle motivazioni che richiedono l’induzione del travaglio e dei rischi connessi alla procedura poiché tutti i metodi per l’induzione del travaglio comportano il rischio di iperstimolazione uterina e di ripercussioni sul feto, ed è per questo motivo che le pazienti vengono sottoposte a un monitoraggio intensivo del battito cardiaco fetale e delle contrazioni uterine, secondo protocolli dedicati e specifici per ogni metodo di induzione. Bisogna ricordare che le induzioni sono soggette al rischio di fallimento, con conseguente ricorso al taglio cesareo mentre per ciò che concerne l’intensità del dolore, alcune pazienti riferiscono che il parto indotto risulta essere più doloroso del parto spontaneo, ma questo fatto non è supportato da alcuna ricerca scientifica e probabilmente è influenzato dalla percezione della paziente che si trova a fronteggiare, durante il ricovero, ritmi molto diversi da quelli domestici. La differenza è quindi da riferire sia al vissuto della paziente che all’intensità assoluta del dolore, che infatti è un’esperienza estremamente soggettiva.  

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Photo: Canva / The Xavier Lorenzo Collection

Esistono dei casi clinici che richiedono l’induzione e altri per cui è sconsigliato?

L’obiettivo dell’induzione del parto è quello di interrompere l’evolversi di gravidanze per le quali attendere l’insorgenza spontanea del travaglio comporterebbe più rischi che benefici. Esistono alcune indicazioni sulle quali vi è un consenso assoluto, come la rottura delle membrane al fine di prevenire il rischio di infezioni fetali dovute alla gravidanza protratta poiché, dopo le 41 settimane, le riserve fetali e materne si riducono drasticamente e aumenta il rischio di complicanze come la morte del feto. Esistono poi altre condizioni per le quali, per motivi simili, è indicata l’induzione anche se le tempistiche variano in base alle linee guida utilizzate. Le più comuni sono: i disordini ipertensivi, la restrizione della crescita fetale, la colestasi gravidica, la riduzione del liquido amniotico, il diabete, l’eccessiva crescita fetale e la gravidanza gemellare. Per  quanto riguarda invece la presentazione podalica l’induzione è, almeno nella realtà clinica italiana, controindicata per i rischi correlati al parto podalico. 

Esistono infine controindicazioni assolute all’induzione del travaglio che coincidono con le indicazioni al taglio cesareo. Tra queste la placenta previa, ovvero quando la placenta ricopre o è troppo vicina all’orifizio uterino interno. Ciò a causa dell’elevato rischio di sanguinamento durante la propagazione dell’infezione da Herpes genitale per il rischio infettivo fetale, la posizione trasversale del feto, il cancro della cervice e, in generale, qualsiasi situazione di compromissione del feto o della madre che controindichino il travaglio. Le donne con pregresso taglio cesareo possono essere sottoposte a induzione, ma nella maggior parte dei presidi ospedalieri della nostra realtà clinica, questa procedura viene riservata alle donne che sono state sottoposte ad un singolo taglio cesareo con incisione uterina trasversale e non longitudinale.

Quali sono i metodi comuni, efficaci e sicuri per l’induzione?

Esistono sostanzialmente due metodi: il metodo farmacologico e il metodo meccanico. Partendo dal primo, i farmaci più utilizzati sono di due tipi: le prostaglandine e l’ossitocina, entrambi “copie sintetiche” di sostanze che vengono prodotte naturalmente dal nostro corpo. Alcune prostaglandine possono essere somministrate per via vaginale, sotto forma di dispositivi a rilascio prolungato o di gel, altre per via orale, sotto forma di compresse che vengono sciolte in acqua. Sono farmaci a disposizione e che di solito vengono utilizzati in caso di collo uterino ancora in fase iniziale.

L’obiettivo dell’induzione è infatti duplice: da un lato innescare contrazioni uterine e dall’altro favorire l’accorciamento e la dilatazione del collo dell’utero. Le prostaglandine non possono essere utilizzate nell’induzione del parto delle pazienti con pregresso taglio cesareo  perché in queste pazienti vi è un alto rischio di rottura uterina nella sede della precedente incisione chirurgica. 

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Photo: Canva / Studioroman

Possono essere invece utilizzati i metodi meccanici e l’ossitocina in caso di visita ostetrica molto sfavorevole, mentre è possibile proporre a tutte le donne l’utilizzo di un metodo meccanico, a patto che le membrane amniotiche siano integre. Il metodo meccanico più utilizzato prevede l’inserimento nella cervice di un catetere con un doppio palloncino, che viene gonfiato per indurre il raccorciamento e la dilatazione meccanica del collo dell’utero. Contemporaneamente è possibile somministrare prostaglandine per via orale per sfruttare un effetto sinergico. 

L’ossitocina è un farmaco che prevede invece una somministrazione endovenosa e può essere utilizzata in sequenza alle prostaglandine, oppure come metodo esclusivo quando la visita ostetrica è molto favorevole. I dati più recenti a disposizione in letteratura suggeriscono che il metodo più sicuro ed efficace per l’induzione del parto è la somministrazione di prostaglandine per via orale, più o meno associata a un metodo meccanico.

Esistono nuove ricerche o tecniche emergenti per l’induzione al parto?

I protocolli per l’induzione del travaglio sono in continuo divenire, nonostante le metodologie in uso siano le stesse ormai da moltissimo tempo. La molecola più utilizzata, il Misoprostolo, una prostaglandina somministrabile per via orale o vaginale, è in fase di studio ormai da più di 30 anni ed è oggi considerata la migliore strategia per l’induzione in casi di cervice sfavorevole. 

Le novità sono quindi più che altro relative alla posologia del farmaco e ai metodi di somministrazione. Attualmente nel nostro centro utilizziamo un protocollo a basse dosi con Misoprostolo per via orale associato al metodo meccanico quando necessario.  

Quali consigli puoi dare alle donne in questa situazione?

Il mio consiglio è quello di vivere l’esperienza dell’induzione del parto in modo sereno, di riposare, per quanto possibile, prima dell’inizio delle contrazioni e di chiedere al personale delucidazioni ogni volta che si presenta un dubbio. 

La comunicazione tra operatori e pazienti è fondamentale in ostetricia ed è la base per una buona alleanza terapeutica. Talvolta si sente parlare di induzioni e travagli di lunghissima durata ed estremamente traumatizzanti per le pazienti. Queste esperienze non fanno che aumentare l’ansia e la frustrazione delle pazienti e peggiorare l’esperienza del parto.

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Photo: Pexels / Vidal Balielo Jr.

Induzione non è sinonimo di travaglio e, nella maggior parte dei casi,  le induzioni conducono in modo graduale e progressivo al travaglio consentendo pertanto alla paziente di essere preparata al meglio al momento dell’ingresso in sala parto. Consiglio inoltre di portare con sé oggetti che possano far sentire le donne a loro agio, come per esempio la propria musica o le proprie letture preferite, tutti strumenti importanti per spostare l’attenzione su qualcosa di meno stressante e ansiogeno, nell’attesa che arrivi quello che dovrebbe rappresentare il momento più importante nella vita della coppia.

 

Veronica Rossetti

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