Le più recenti scoperte sull’osteoporosi hanno identificato un osteopeptide endogeno che consentirebbe non solo di arginare la sintomatologia nei soggetti già cronicizzati, ma anche di debellarla.
L’osteoporosi è stata per diversi anni un enigma difficilmente risolvibile. Ancora oggi, il trattamento di questa malattia degenerativa del tessuto osseo mira principalmente a contenerne il deterioramento, senza risolvere totalmente il problema. Ma la lotta a questa malattia sistemica sta progredendo in modo molto significativo sia dal punto di vista eziologico che dal punto di vista terapeutico.
La molecola “miracolosa” contro l’osteoporosi
La scoperta di un osteopeptide endogeno, chiamato “pepitem” è infatti frutto dello studio coordinato dalla Dott.ssa Helen McGrettick dell’Università di Birmingham, e rappresenta un notevole passo in avanti per sconfiggere definitivamente l’osteoporosi.
La ricerca offre più di una speranza per i 5 milioni di malati in Italia, secondo gli ultimi dati Istat, colpiti da fratture da fragilità. Queste fratture hanno gravi conseguenze in termini di mortalità e costi sia sanitari che sociali. Gli stessi dati confermano, per esempio, che la mortalità immediata post-frattura del femore è del 5%, ma aumenta al 15-25% entro un anno, mentre nel 20% dei casi si ha la perdita definitiva della capacità di camminare autonomamente e solo il 30-40% dei soggetti torna alle condizioni precedenti la frattura sempre secondo i dati diffusi dall’Istat.
Un recettore che fa sperare
Pur avendo da tempo individuato l’eziologia della degenerazione ossea, ovvero l’alterato equilibrio tra osteoblasti e osteoclasti, la causa della “rottura” di questo equilibrio è rimasta largamente sconosciuta fino ad oggi.
Grazie anche all’attività dei ricercatori dell’Università di Bonn, coordinati dal Dott. Meliha Karsak del Life & Brain Centre, è stato scoperto un meccanismo precedentemente ignoto che caratterizza il processo di riduzione della massa ossea. Tale meccanismo è legato a un recettore cannabinoide, CB2, difettoso. Se il recettore non è attivato il numero di osteoblasti aumenta del 50%, il che significa che agendo sulla attivazione di questo particolare recettore renderebbe possibile regolare la crescita ossea.
Qualora le ricerche fossero confermate sugli esseri umani, sarebbe fattualmente possibile prendere in considerazione la stimolazione del recettore attraverso una cura farmacologica.
Rigenerare il tessuto osseo
Le frontiere della ricerca non si sono però fermate, come dimostra uno studio della Prof.ssa Maria Grano, docente di istologia presso l’Università di Bari, iniziato nel 2012 e che ha ottenuto il brevetto italiano nel 2018 (negli Stati Uniti nel 2019). La ricerca ha dimostrato, con delle ottime evidenze, la correlazione tra la produzione dell’irisina (un ormone rilasciato dal muscolo scheletrico) e la generazione di nuovo tessuto osseo in grado di “riparare” i danni prodotti dall’osteoporosi.
Infine, sempre in tema di regressione della degenerazione del tessuto osseo, un gruppo di ricerca del Children’s Medical Center Research Institute dell’Università del Texas UT Southwestern di Dallas, ha scoperto una molecola, l’osteolectina, capace di far regredire la sintomatologia osteoporotica e, al contempo, stimolare la ricrescita delle ossa.
In sostanza, i ricercatori hanno osservato che se si elimina l’osteolectina dal dna dei topi di laboratorio sani, questi cominciano rapidamente a perdere massa ossea come durante l’invecchiamento. Viceversa, se la si somministra in topi con osteoporosi già in atto, la perdita ossea regredisce e il volume osseo aumenta in modo significativo. Anche queste evidenze devono essere confermate sperimentalmente sugli esseri umani ma le prospettive, anche in questo caso, sono molto incoraggianti.
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