Il prof. Gabriele Guardigli e il dott. Carlo Penzo raccontano i benefici di questa procedura che preserva la persona dai fattori di rischio.
A livello mondiale, secondo una recente analisi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), sono oltre 1,28 miliardi le persone affette da ipertensione e circa metà non si rende conto di esserlo e non riceve alcun trattamento, con gravi rischi per la salute cardiovascolare. Secondo la Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa – Lega Italiana Contro l’Ipertensione Arteriosa, nella Regione Emilia Romagna sono ipertesi il 41% degli uomini e il 30% delle donne. Inoltre, più della metà (56%) delle persone ultra 64enni soffre di ipertensione arteriosa, pari a 574 mila persone in tutta l’Emilia Romagna.
L’ipertensione arteriosa resistente
L’ Arcispedale Sant’Anna Azienda Ospedaliero – Universitaria di Ferrara negli ultimi due anni ha messo a disposizione dei pazienti, nel suo Laboratorio di emodinamica, un intervento innovativo e mini-invasivo per il trattamento dell’ipertensione resistente ai farmaci: la denervazione delle arterie renali per via percutanea. Prima di questo intervento non c’era alternativa al trattamento farmacologico.
In alcuni casi può verificarsi infatti un’ipertensione resistente al trattamento farmacologico se il valore pressorio risulta superiore a 140/90 millimetri di mercurio (mmHg), che è il valore soglia secondo le linee guida, nonostante l’assunzione di una terapia medica comprensiva di almeno 3 farmaci. Si parla allora di “ipertensione arteriosa resistente”. In tutti questi casi, un’opzione innovativa e sicura è proprio la procedura di denervazione delle arterie renali. Ne abbiamo parlato con il prof. Gabriele Guardigli, direttore della Cardiologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara, ed il dr Carlo Penzo, Cardiologo Interventista in forza alla Cardiologia della Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara.
Qual è stato il percorso che vi ha portato ad interessarvi all’ipertensione arteriosa resistente?
È parte del nostro percorso di attenzione a chi soffre di ipertensione arteriosa. Il nostro interesse è tutelare la persona e preservarla dai fattori di rischio che nel tempo posso portare a sviluppare episodi critici, quali ictus o cardiopatia ischemica, o problemi ai reni o alla circolazione periferica. Nella maggior parte dei casi l’ipertensione arteriosa viene trattata e tenuta sotto controllo con una terapia farmacologica. Ci sono, però, alcuni pazienti che non rispondono ai farmaci, fatto che può portare a fattori di rischio elevato.
La ricerca scientifica si è perciò dedicata a trovare una via alternativa alla terapia farmacologica. Ridurre di 10 oppure anche solo di 5 punti i valori della pressione arteriosa è importantissimo perché vuol dire ridurre l’incidenza di incorrere in eventi avversi quali ictus e infarti miocardici. I meccanismi che regolano la pressione sono tanti. Tra questi ricade anche l’attività del sistema nervoso autonomo che ha un ruolo nella contrazione della muscolatura che fa parte della parete dell’arteria renale. La procedura di denervazione renale prevede di entrare nell’arteria con un catetere facendo in modo che l’attività del sistema nervoso autonomo si riduca e rendendo così i farmaci più efficaci. Il valore della pressione nel giro di qualche mese registra una riduzione tra i 5 e i 20 punti.
Quali sono i pericoli associati all’ipertensione arteriosa cronica e quali benefici porta al paziente la procedura di denervazione renale?
I pericoli sono rappresentati dal rischio di eventi cardiovascolari o di ictus. L’OMS Sanità ha stabilito come valori limite della pressione arteriosa 140 per la massima e 90 per la minima. Al di sopra di questi valori aumenta rischio, quindi tenerli sotto controllo è fondamentale.
Come è formata la vostra equipe e come viene gestito il paziente che soffre di questa patologia cronica?
La gestione della procedura di denervazione renale presuppone uno staff multidisciplinare. Tanti pazienti arrivano dal Centro dell’Ipertensione (guidato dal Prof. Manfredini, direttore della clinica medica, e della dottoressa Boari, Responsabile dell’ambulatorio dell’ipertensione arteriosa) e altri dagli ambulatori di cardiologia. Il nostro staff è composto dal cardiologo interventista, dal medico del centro dell’ipertensione arteriosa, dal medico proponente referente del paziente in oggetto, nonché da un nefrologo. Il primo passaggio è verificare che il paziente sia realmente affetto da una ipertensione primitiva (o essenziale), ovvero che non ci siano cause secondarie al rialzo pressorio (disturbi ormonali correggibili primi tra tutti) e che effettivamente non risponda alle terapie in atto. Per tale motivo si fanno diversi esami preliminari per verificare l’idoneità a questa procedura. Non è un intervento complicato è mini-invasivo ma presuppone un’organizzazione adeguata anche perché ha un costo non basso.
Quali altri obiettivi può raggiungere la ricerca scientifica nel trattamento di questa patologia?
La ricerca segue sostanzialmente due direzioni. La prima è lo studio nel tempo dei benefici portati da questa procedura. La seconda, dato che c’è una percentuale residuale di pazienti su cui l’intervento non è efficace (circa il 10-15%), è identificare quali sono i fattori che rendono inefficace la denervazione. Ciò consentirebbe di non effettuare procedure inefficaci, utilizzando al meglio le risorse.