In occasione della prima edizione del congresso “Roma Cardiomiopatie” che si è tenuto il 18 e 19 ottobre 2024, Health Stories ha intervistato una delle relatrici: Eloisa Arbustini.
“Roma Cardiomiopatie” è un progetto ideato da cinque professioniste, responsabili del management delle Cardiomiopatie in cinque centri romani di eccellenza, riconosciuti dalla comunità scientifica nazionale e internazionale: la professoressa Cristina Chimenti (Sapienza Università di Roma – Policlinico Umberto I), la dottoressa Francesca Graziani (Policlinico A. Gemelli Roma), la dottoressa Chiara Lanzillo (Policlinico Casilino), la professoressa Beatrice Musumeci (Sapienza Università di Roma – Policlinico S. Andrea) e della dottoressa Federica Re (Azienda Ospedaliera S. Camillo – Forlanini).
La prima edizione curata da Dialecticon, si è svolta presso il Centro Congressi Forum Theatre di Roma il 18 e 19 ottobre 2024. Il congresso ha rappresentato un’importante occasione di approfondimento e confronto tra specialisti di rilievo nazionale e internazionale, che hanno potuto condividere sapere, competenze, best practice e valori. Tutto ciò ha trasformato le giornate in una vera esperienza di crescita professionale che ha favorito il consolidamento di network dedicati a queste complesse patologie. Un’esperienza valorizzata ulteriormente dalla partecipazione attiva dei giovani cardiologi, che ha conferito una prospettiva orientata al futuro.
Eloisa Arbustini , Specializzata in Cardiologia, Anatomia Patologica e Genetica, è Direttrice dell’Area Trapiantologica e del Centro di Malattie Genetiche Cardiovascolari presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. Qui conduce un’attività interdisciplinare, focalizzata sulla diagnosi e cura di malattie genetiche rare e complesse, tra cui le cardiomiopatie eredo-familiari, le malattie aneurismatiche ereditarie e quelle da accumulo intracellulare. La dottoressa coordina inoltre progetti multidisciplinari volti allo studio di queste patologie, come ci racconta in questa intervista.
Cosa l’ha spinta verso lo studio della cardiomiopatia?
Inizialmente una storia personale legata alla mia famiglia, perché un parente ha avuto un problema cardiaco che non è andato a buon fine. Da lì è nata una mia curiosità, un desiderio di approfondire la ricerca sui motivi per cui il cuore, che normalmente ha una capacità straordinaria, può improvvisamente smettere di funzionare correttamente, persino in giovane età, fallendo nel ruolo principale di pompare il sangue. Questo mi ha spinto a interessarmi non solo alle persone ma anche alle famiglie, perché spesso queste malattie hanno una componente genetica e possono essere ereditarie. Molte di queste condizioni sono silenti per anni, per poi manifestarsi nell’età adulta o giovane adulta, e diventano croniche, rappresentando la principale causa di trapianto di cuore. Sono malattie complesse da diagnosticare, trattare e gestire, ma anche estremamente affascinanti per chi si occupa di ricerca.
Quali innovazioni emergenti vede nel futuro per la gestione delle cardiomiopatie?
Ci sono tantissime innovazioni, ma la più importante, che non è propriamente nuova, è quella di aver ribadito nelle ultime linee guida quanto sia fondamentale caratterizzare il fenotipo clinico della malattia prima di procedere con qualsiasi altro passo. Le innovazioni più significative riguardano sicuramente l’imaging, che ha fatto passi da gigante, e la genetica. Oggi abbiamo accesso a tecnologie di sequenziamento del DNA che ci permettono di individuare le cause delle cardiomiopatie genetiche, soprattutto quelle ereditarie. Questo ci consente di diagnosticare in maniera più precisa e personalizzare i trattamenti. Tuttavia, insieme a questi progressi, emergono anche nuovi problemi, come l’interpretazione dei dati genetici. Ma è proprio seguendo le famiglie nel tempo che possiamo imparare molto e migliorare la nostra ricerca.
Nel suo intervento al convegno ha parlato della classificazione molecolare delle cardiomiopatie. Può approfondire questo concetto?
In realtà, ho detto “no” all’idea di una classificazione completamente molecolare. Non perché non ne abbiamo le conoscenze o le capacità, ma perché ogni classificazione deve partire dalla malattia stessa, non dalla molecola che ne potrebbe essere la causa. La malattia clinica deve rimanere al centro della classificazione, perché è ciò che il medico vede e ciò che impatta maggiormente la vita del paziente e della sua famiglia. Certo, possiamo integrare più informazioni, comprese quelle molecolari, ma senza perdere di vista l’aspetto clinico. Questo è fondamentale soprattutto ora che stiamo sviluppando nuovi farmaci e trattamenti innovativi: dobbiamo sempre basarci sul fenotipo clinico per valutare l’efficacia delle terapie.