La Dottoressa Eleonora Riccio, specialista di Nefrologia presso l’U.O. di Nefrologia del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’AOU “Federico II” di Napoli, condivide il suo percorso di interesse per le malattie rare, focalizzandosi sull’approccio multidisciplinare alla malattia di Fabry.
La malattia di Fabry è una patologia genetica che provoca il deficit di un enzima chiamato alfa-galattosidasi A, il risultato di mutazioni nel gene GLA. Rappresenta una sfida clinica complessa che coinvolge diversi organi e sistemi, come ci spiega la nefrologa Eleonora Riccio, che condivide il suo background e il suo interesse per questa malattia rara evidenziando l’importanza di un approccio olistico nel management clinico dei pazienti. Attraverso il dialogo sulle prospettive attuali e future nel trattamento della malattia di Fabry, emerge un quadro chiaro delle sfide e delle opportunità che caratterizzano questa patologia, sottolineando l’importanza della diagnosi precoce e di un intervento tempestivo per migliorare la qualità della vita dei pazienti.
Da dove nasce il suo interesse per le malattie rare?
Ho iniziato a interessarmi in generale di nefrologia e di patologie del rene nel corso della mia specializzazione, dove ho avuto la fortuna di incontrare due dei professori del corpo docenti che si occupavano della malattia di Fabry. Quando ero in specializzazione, agli inizi degli anni Duemila, i pazienti con malattia di Fabry non erano moltissimi ed esistevano soltanto due terapie enzimatiche per le infusioni. Le informazioni sull’efficacia del trattamento iniziavano a venire fuori proprio in quel periodo, e c’era un grande interesse per questa patologia, quindi ho iniziato un po’ per caso a dedicarmi al suo studio. Da lì è iniziata la ‘passione’ per questa malattia, anche perché non si tratta di una patologia con esclusivo coinvolgimento del rene, quindi di esclusiva pertinenza nefrologica, ma è multi sistemica e in quanto tale è molto ampia. Ha moltissime espressioni, un coinvolgimento multiorgano e quindi si deve avere una conoscenza abbastanza ampia e olistica dell’organismo.
Quale è a suo avviso modello di management clinico più appropriato per questo paziente complesso?
La patologia coinvolge diversi organi e tessuti. Addirittura si può dire che coinvolge quasi tutti gli organi, e di conseguenza servono diversi specialisti per la gestione corretta: è necessario un approccio multidisciplinare. Noi abbiamo la fortuna, lavorando in un Policlinico universitario, che quindi ha le diverse specializzazioni, di poterci interfacciare quotidianamente con tutti gli altri specialisti. Per questo abbiamo creato proprio un team multidisciplinare di medici esperti di malattia di Fabry, in modo da consentire la gestione simultanea del paziente sotto i diversi punti di vista.
Chi ne fa parte? Come si struttura?
Il nostro team coinvolge, oltre a noi nefrologi: cardiologi, neurologi, radiologi (sia il neuroradiologo che il radiologo che fa poi le risonanze cardiache), dermatologi, oculisti, pediatri. Diverse figure che consentono una gestione a 360 gradi del paziente affetto dalla malattia di Fabry.
Quali prospettive si aprono sul modello di gestione e sulla cura di questa patologia?
Sul modello di gestione l’approccio che prevede il coinvolgimento simultaneo di diversi specialisti è il migliore. Inoltre, in molte regioni d’Italia dopo il periodo pandemico nel 2020 si sta riuscendo ad avere una gestione domiciliare del paziente affetto da malattia di Fabry, che può effettuare la sua terapia infusiva a casa, e poi chiaramente viene a fare i suoi controlli periodici in ospedale. Questo comunque già consente un miglioramento della qualità di vita del paziente, e sgrava il medico di un carico di lavoro notevole. Per quanto riguarda le prospettive future per il trattamento, a parte le due terapie enzimatiche classiche, c’è quella chaperonica (l’unica terapia orale oggi disponibile). Poi a breve entrerà in commercio un’altra terapia enzimatica sostitutiva. Ci sono diversi studi anche su terapie a inibizione del substrato e addirittura sulla terapia genica, che sarà la vera e propria svolta che consentirà proprio la modifica a livello genetico della mutazione responsabile della malattia di Fabry, quindi praticamente la guarigione dalla malattia. Diciamo che rispetto a vent’anni fa siamo molto più avanti, ma già anche rispetto a dieci anni fa. Prima l’approccio al trattamento era solo sintomatico, poi è diventata una terapia eziologica della malattia.
Un consiglio che posso dare è di non sottovalutare nessun segno e sintomo quando si è in presenza di un paziente con una diagnosi di base non chiara: se c’è qualche campanello d’allarme bisogna considerare la possibilità che il paziente possa avere la malattia di Fabry. Una diagnosi precoce infatti consente l’inizio tempestivo del trattamento e permette di salvare la vita della persona, di ridurre la velocità di progressione della malattia, di aumentare la possibilità di sopravvivenza e soprattutto migliorare la qualità della vita.
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