Una migliore qualità della vita delle persone passa anche per la riscoperta di terapie antiche, rivisitate e sviluppate in modo innovativo per rispondere alle esigenze moderne. Un esempio significativo è rappresentato dalla dieta chetogenica, come spiega Claudia Venturini, Medico Chirurgo specializzato in Scienza dell’alimentazione, Dirigente medica e docente presso il centro di Nutrizione Cinica dell ‘IRCCS-INRCA (National Institute of Research and Care on Aging) di Ancona.
Un regime alimentare che, nonostante le sue radici storiche, continua a dimostrare una notevole efficacia oggi nella gestione del peso, del miglioramento metabolico o, nel trattamento delle patologie cliniche. Si tratta della dieta chetogenica, che la Prof.ssa Claudia Venturini ci illustra in questa intervista.
Da dove nasce il suo interesse per la nutrizione clinica e quale percorso accademico l’ha portata a essere la professionista di oggi?
La mia decisione di specializzarmi in nutrizione clinica è stata guidata da un percorso di formazione e ricerca specifico e dettagliato. Durante il mio percorso di medicina, ho trascorso un anno di formazione presso l’Università di Marsiglia, nel centro di nutrizione clinica di dati dal prof. Jean Vague, medico pioniere che ha scoperto i rischi associati al grasso viscerale. Ho trascorso il mio internato focalizzandomi sulle terapie chetogeniche. In quel periodo, ho avuto l’opportunità di lavorare con pazienti pediatrici affetti da epilessia resistente ai farmaci, e ho visto come le diete chetogeniche potessero offrire loro una nuova speranza. Questo approccio non solo si è rivelato efficace per la gestione dell’epilessia, ma ha anche dimostrato potenzialità significative per la perdita di peso. Ho poi proseguito con la mia tesi di laurea con il prof. Saverio Cinti (candidato al Nobel per la medicina nel 2017 per le sue scoperte dell’organo adiposo, ed esperto mondiale di obesità) dove mi sono specializzata sul tessuto adiposo viscerale, studiando in particolare la funzione mitocondriale e una proteina disaccoppiante che stimola la fosforilazione ossidativa degli acidi grassi. Questa proteina è coinvolta anche nella formazione e nell’utilizzo dei corpi chetonici, il che ha rafforzato ulteriormente la mia convinzione dell’importanza delle diete chetogeniche. Infine, da oltre 20 anni lavoro in un istituto di ricerca a carattere scientifico specializzato nell’aging, dove vedo costantemente pazienti affetti da sarcopenia e malnutrizione. Queste esperienze mi hanno convinto che per mantenere la longevità sia fondamentale preservare la massa muscolare. Questo ha consolidato il mio impegno nel campo della nutrizione clinica, dove posso unire le mie competenze in ricerca con l’assistenza diretta ai pazienti.
Nel campo della nutrizione clinica e della dietologia, quali ritiene siano le innovazioni più promettenti attualmente in fase di studio? Come potrebbero queste scoperte influenzare il futuro della dietetica e migliorare la qualità della vita dei pazienti?
L’ambito di ricerca più innovativo è, paradossalmente, la riscoperta di una terapia antica che è la chetosi nutrizionale, che ha permesso ai nostri antenati di vivere per lunghi periodi digiunando. L’essere in chetosi è considerato positivo da molti esperti: per raggiungere questo stato, è necessario seguire una dieta povera di carboidrati e zuccheri, dai quali spesso siamo intossicati e dipendenti. Un consumo eccessivo di carboidrati e zuccheri, infatti, attiva le stesse aree del cervello stimolate dalla cocaina. Nel dettaglio, si è scoperto che i grassi utilizzati come riserva di energia avevano anche altre funzioni: davano energia e concentrazione per cacciare cibo, proteggevano i muscoli dall’auto cannibalismo e contribuivano al mantenimento della massa muscolare. Questo approccio sta dimostrando un enorme potenziale non solo per la gestione del peso, ma anche per il trattamento di diverse patologie, come l’epilessia resistente ai farmaci, alcune forme di cancro e malattie neurodegenerative. Studi recenti stanno esplorando l’utilizzo delle diete chetogeniche per migliorare la sensibilità all’insulina, ridurre l’infiammazione e supportare la salute cerebrale. Queste scoperte potrebbero rivoluzionare il modo in cui affrontiamo molte malattie croniche, offrendo nuove opportunità terapeutiche e migliorando significativamente la qualità della vita dei pazienti.
Uno dei concetti rivoluzionari in ambito dietologico degli ultimi anni è la teoria della medicina muscolo centrica, che pone enfasi sull’importanza della massa muscolare.
Può spiegare perché questo aspetto era stato sottovalutato in passato e come sta cambiando l’approccio alla nutrizione clinica?
La teoria della medicina muscolo centrica mette in evidenza l’importanza della massa muscolare non solo per la forza fisica, ma anche per la salute metabolica generale. In passato, la massa muscolare era spesso trascurata, con maggiore attenzione al controllo del peso e alla riduzione del grasso corporeo. Tuttavia, ricerche recenti hanno dimostrato che la massa muscolare è fondamentale per il metabolismo del glucosio, la sensibilità all’insulina e la gestione dell’infiammazione. Questo ha portato a un cambiamento nell’approccio alla nutrizione clinica, con un maggiore focus sull’integrazione proteica e l’allenamento di resistenza per mantenere e aumentare la massa muscolare, specialmente nei pazienti anziani e in quelli con malattie croniche. Questo approccio è cruciale per migliorare la qualità della vita e la longevità dei pazienti anche nel trattamento dell’obesità. La crescita di massa muscolare è, infatti, un parametro in grado di eliminare i grassi in eccesso mantenendo attivo il metabolismo. Lo stile di vita perlopiù sedentario che abbiamo non sviluppa la massa muscolare e nemmeno l’allenamento aerobico e ciò è confermato dal fatto che i pazienti obesi hanno muscoli ridotti come volume e sono infiltrati dal grasso. Tutto ciò compromette l’efficienza delle azioni quotidiane il che riduce considerevolmente la qualità della vita. Perciò occorre abbinare un’alimentazione proteica a un allenamento che sviluppi la forza muscolare anche in età avanzata fornendo un apporto maggiore di leucina. Non si tratta quindi di favorire una dieta iperproteica che stimola l’insulina resistenza ma di introdurre gradualmente una chetogenica che abbia un ridotto apporto di carboidrati abbinato a una dose bilanciata di proteine il tutto in chiave ipo e normocalorica tenendo a mente che il nostro benessere deve essere finalizzato a trovare il nostro equilibrio: io stessa sperimento su di me ciò che suggerisco ai miei pazienti!
La chetosi ha dimostrato effetti significativi in vari ambiti clinici, tra cui neurologico, cardiologico, dermatologico, psichiatrico e oncologico. Quali di questi settori ritiene che trarranno maggior beneficio dalle future ricerche e applicazioni della chetosi terapeutica?
A oggi esistono più di 400 studi che indagano l’effetto della chetosi su vari settori medici: dal settore psichiatrico a quello endocrinologico al gastroenterologico è neurologico la chetosi è sicuramente un elemento chiave nel risolvere patologie degenerative. Di grande rilevanza è sicuramente la ricerca dell’effetto della chetosi su patologie quali il Parkinson e l’Alzheimer che colpiscono un gran numero di pazienti. A mio avviso comunque uno dei settori che offre una interessante prospettiva terapeutica e l’utilizzo della chetosi nei pazienti oncologici, in cui l’approccio chetogenico può rappresentare una terapia di supporto alla chemioterapia e alla radioterapia. Essere in chetosi terapeutico-nutrizionale può avere impatti differenti anche in ambito psichiatrico: può essere di aiuto nel contrastare patologie degenerative come la Malattia di Alzheimer con l’indubbio vantaggio che la dieta è facilmente misurabile e modulabile. Si possono infatti monitorare i livelli di chetoni nel sangue nell’alito e nelle urine dei pazienti, rendendo a tutti gli effetti questa strategia dietetica una vera e propria arma terapeutica.
Con l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, nuove tecniche e metodologie stanno trasformando il campo della medicina. Come vede evolversi il ruolo del medico dietologo in questo contesto e quali opportunità e sfide prevede per il futuro?
L’intelligenza artificiale sta aprendo nuove frontiere nella medicina, offrendo strumenti avanzati per la diagnosi, il monitoraggio e la personalizzazione delle terapie. Per i medici dietologi, questo significa poter accedere a dati più precisi e approfonditi sulla salute dei pazienti, provenienti anche da dispositivi portatili o impiantabili, permettendo di creare piani nutrizionali altamente personalizzati e basati su evidenze scientifiche. Tuttavia, questa evoluzione presenta anche delle sfide, come la necessità di mantenere un approccio umano ed empatico nel rapporto con il paziente, nonché la continua formazione per rimanere aggiornati sulle nuove tecnologie. In futuro, vedo il medico dietologo come un professionista sempre più integrato con le tecnologie avanzate, ma anche come un punto di riferimento umano e competente per i pazienti, capace di coniugare scienza e umanità per offrire cure ottimali. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale aiuterà a integrare tutte le informazioni raccolte dai diversi dispositivi portatili oggi in commercio, che monitorano l’attività aerobica, il battito cardiaco e la qualità del sonno. Utilizzata in maniera appropriata, l’intelligenza artificiale potrebbe favorire l’adozione di terapie su misura per il paziente, realizzando una vera e propria “medicina sartoriale”. Possiamo creare avatar che rilevano cambiamenti della postura delle circonferenze della composizione corporea, dando al paziente la possibilità di essere consapevole dei progressi. Esistono inoltre applicazioni per visite online, consentendo alle visite di essere effettuate sia in presenza che a distanza.