16 Gennaio 2025, 8:34
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Antonio Pisani: «Ho iniziato con l’unico campano affetto dalla malattia di Fabry»

di Valentina Tafuri
antonio pisani
Direttore del centro di ricerca malattie genetiche e rare renali dell’Università Federico II di Napoli, il professor Antonio Pisani è un pioniere nelle cure nefrologiche. «È grazie anche all’intervento di aziende farmaceutiche che la nostra ricerca può continuare a progredire».

Le storie della ricerca medica sono spesso racconti in cui la buona volontà, la caparbietà e la dedizione guidano il cambiamento e conducono a importanti risultati. È un po’ quello che accade anche nell’esperienza del professor Antonio Pisani, direttore della Unità Ospedaliera di Nefrologia e Dialisi dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli. Oltre a dirigere con (risicate) risorse finanziarie e umane il Centro di ricerca sulle malattie rare renali, Pisani riesce a seguire ben 180 pazienti con la malattia di Fabry, 400 affetti dalla patologia del rene policistico autosomico recessivo e numerosi pazienti affetti da altre patologie rare del rene. Un’eccellenza di cui andar fieri.

Come è arrivato a specializzarsi proprio nelle malattie rare in ambito nefrologico e come questo ha influenzato la sua carriera e la sua ricerca?

Come spesso accade, è capitato in maniera casuale. Ero specializzando all’Università Federico II di Napoli e ho avuto l’occasione di partecipare al concorso per una borsa di studio offerta da una piccola casa farmaceutica che si occupava di malattie renali rare. Per me, che volevo accedere alla carriera di ricercatore in ambito nefrologico, si trattava di un’occasione che mi avrebbe consentito di continuare la ricerca sperimentale, che nel frattempo avevo iniziato. Dopo aver vinto quella borsa di studio, ho iniziato a seguire l’unico paziente campano affetto dalla malattia di Fabry. Da allora mi sono specializzato nelle malattie rare del rene, che sono diverse e di non facile diagnosi. Oggi il nostro è l’ambulatorio con il maggior numero di pazienti in Italia, il primo a livello nazionale per la cura della malattia policistica.

Nel Centro che lei dirige presso l’Università Federico II, quali malattie rare nefrologiche sono al centro della ricerca e del trattamento e quali sono le scoperte o i trattamenti più promettenti che sono emersi di recente?

La nostra è un’ampia produzione scientifica sia in ambito della ricerca che della clinica. Ci occupiamo della malattia di Fabry, per la quale siamo stati l’unico sito italiano di sperimentazione delle nuove terapie enzimatiche. Insieme all’Istituto Mario Negri di Bergamo abbiamo condotto il trial per il trattamento alternativo del rene policistico. Siamo centro per il trial di fase 1 e 2 per l’uso della terapia genica contro la malattia di Fabry.

Cosa caratterizza il suo Centro di eccellenza per la diagnosi e il trattamento delle malattie rare nefrologiche?

Pur essendo un Centro dedicato alle malattie rare, siamo riusciti a creare collaborazioni e sinergie con specialisti di altre branche della medicina, nazionali e internazionali, nell’ottica di un approccio multi-specialistico alla malattia. Questo giova ai pazienti ed accresce le nostre conoscenze sulle patologie, creando un gruppo di medici che diventano esperti. Questo è sicuramente molto importante e caratterizzante.

Nel campo delle malattie rare nefrologiche, cosa rappresenta il vero punto di svolta nella cura dei pazienti?

Nelle malattie rare, orfane, di solito la svolta è rappresentata dalla disponibilità di una terapia che modifica la storia del trattamento di quella patologia e determina anche la crescita dell’interesse dei medici verso di essa. Se non c’è la possibilità di impattare sulla qualità della vita di un paziente, l’interesse medico ad intervenire è minore. La ‘scoperta’ di una prima terapia invece crea questa possibilità e fa da booster ad ulteriori ricerche.

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Photo: iStock / designer491

Quali sono le principali sfide nella gestione quotidiana dei pazienti con malattie rare nefrologiche e come l’introduzione di nuove terapie sta cambiando l’approccio al trattamento?

Come dicevo, la terapia cambia la storia della patologia, ma specialmente nelle malattie rare, per noi diventa fondamentale il punto di vista del paziente. L’outcome del paziente rispetto al Centro e alle terapie è talmente importante da determinare le scelte e ha lo stesso peso di un risultato scientifico, perché valida l’efficacia della terapia somministrata.

Come si confronta il Centro con le questioni di sostenibilità economica nell’ambito delle cure per le malattie rare e quali soluzioni sono state adottate per bilanciare i costi con l’efficacia dei trattamenti?

Questo tema è sicuramente delicato. Gran parte delle terapie per le malattie rare ha un costo enorme, ma vari studi di farmaco-economia dimostrano il risparmio che queste cure, se efficaci, determinano nel tempo per il sistema sanitario.

Guardando al futuro, qual è la sua visione per il Centro per la diagnosi e il trattamento della malattia di Anderson-Fabry presso l’Università Federico II nel “migliore dei mondi possibili”?

Vorrei che ci fosse un’attenzione specifica dei sistemi di governo verso realtà come la nostra perché, e non è solo il nostro caso, tutto quello che viene fatto nei gruppi di ricerca è frutto di un impegno personale grandissimo. È grazie a questo che siamo diventati un punto di riferimento, anche internazionale. Molto di quello che facciamo viene reso possibile anche grazie all’intervento illuminato di aziende farmaceutiche che finanziano borse di studio e rendono disponibili budget che consentono alla ricerca di proseguire e progredire.

 

Valentina Tafuri

Photo: iStock / designer491

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