Il presidente della Società Italiana per lo studio delle MME e dello SN ripercorre le tappe principali che lo hanno portato a diventare un punto di riferimento nello studio delle malattie metaboliche ereditarie e nello screening neonatale. «Il futuro? Immagino una nuova generazione di medici pediatri che aiutino il nostro Paese a diventare un modello per lo studio, la prevenzione e il trattamento di queste malattie».
Professor Pession, come nasce il suo interesse verso le malattie metaboliche rare e come questo ha influenzato la sua carriera?
Senza volere lei mi ha fatto la classica domanda che si fa a una persona anziana: ricorda il suo ‘primo amore’? È proprio così! La Malattia di Gaucher, una delle tante (oggi circa 50) malattie lisosomiali e una delle tantissime malattie metaboliche ereditarie (oggi 1815 disordini monogenici del metabolismo innato) è stato il mio ‘primo amore’. La descrizione di un caso di Malattia di Gaucher fu, infatti, oggetto della prima comunicazione orale che il Maestro volle che io svolgessi, all’indomani del mio ingresso nella Scuola di Specializzazione, ad un Congresso della Società Italiana di Pediatria.
La storia di quel bambino, la sua odissea diagnostica, ma soprattutto l’impossibilità di guarirlo, se non con terapie ultra-sperimentali tanto efficaci quanto tossiche disponibili solo oltre oceano, mi segnarono profondamente presentandomi da subito un modello di medicina che doveva saper accettare i propri limiti nonostante una capacità diagnostica al passo con i tempi: i limiti di una scienza fatta per guarire rispetto ad un’arte fatta per curare. Dunque, la risposta alla sua domanda potrebbe sinteticamente essere: perché il ‘primo amore’ non si scorda mai! Ed è normale dopo tanti anni tornare sul Posto delle fragole non già per chiedere scusa (come dovrebbe fare ogni medico, ogni vecchio e illustre professore, secondo Ingmar Bergman), ma per cercare di dare un contributo fattivo ad una disciplina, quella dello studio delle malattie metaboliche ereditarie (MME) e dello screening neonatale (SN), che enormi progressi ha compiuto e che tanto può e deve ancora fare.
Ed ecco che, dopo aver scelto di abbandonare la mia comfort zone, ho deciso di tornare ad interessarmi di MME e SN mettendomi a disposizione di una comunità scientifica estremamente competente e qualificata che non solo mi ha accolto entusiasticamente, ma ha ritenuto potessi servire la causa in un ruolo decisionale quale quello di presidente della Società Italiana per lo studio delle MME e dello SN (SIMMESN).
In qualità di presidente della SIMMESN, come equilibra le responsabilità di guidare l’organizzazione con il suo lavoro accademico, e quali sono le principali iniziative che promuove attraverso questo ruolo?
Tra gli orizzonti sfidanti della nostra Società si ritrovano: il favorire la conoscenza relativa alle MME e allo SN, l’incentivare la formazione relativa alle MME e allo SN e il promuovere la ricerca scientifica di base, traslazionale e clinica relative alle MME e allo SN. Si tratta dunque di argomenti assolutamente coerenti con la vision accademica indirizzata per sua natura alla formazione universitaria (corsi di specializzazione: MET-ACADEMY), all’alta formazione (MASTER II Livello UNIBO giunto alla II Edizione AA 2023-2024), ma anche alla formazione continua (Leggiamoci, Seminari dei Gruppi di Lavoro soprattutto inter-societari e dei Gruppi Tecnici) e permanente (attraverso il neonato Journal of Innate Metabolism, organo di stampa internazionale della SIMMESN).
Attualmente, quali sono le sfide (scientifiche, sociali e logistiche) che la SIMMESN si trova ad affrontare nel campo delle malattie metaboliche rare e come state lavorando per superarle?
Quelle della SIMMESN sono le sfide della moderna pediatria ovvero di una disciplina chiamata ad occuparsi sempre più di malattie rare ereditarie che possono determinare condizioni patologiche croniche, anche complesse, che richiedono comunque un approccio olistico al piccolo paziente che contempli anche un supporto attivo alla famiglia. Una società scientifica come la SIMMESN è chiamata dunque a riconsiderare con maggiore attenzione quanto previsto dal proprio statuto ovvero la mission di monitorare con opportuni indicatori la qualità dell’assistenza promuovendo lo sviluppo organizzativo attraverso una rete di centri SIMMESN per lo screening (laboratori di Screening e laboratori di conferma diagnostica) e la presa in carico (centri clinici pediatrici e non) dei casi identificati sia in età pediatrica sia più tardivamente. Oltre a ciò, resta aperto il grande capitolo di una ricerca di base e traslazionale che deve conoscere e considerare con attenzione la clinica di questi rari, eterogenei e complessi fenotipi che meritano di essere considerati sotto ogni aspetto, fino a quello meno esplorato del vissuto di malattie dei piccoli pazienti e dei loro caregiver.
Lo screening neonatale per le malattie metaboliche rare solleva questioni complesse, bioetiche e di politiche sanitarie. Qual è il suo punto di vista sul giusto equilibrio tra i costi e i benefici di tali screening, considerando anche l’impatto sulla qualità della vita dei pazienti e delle famiglie?
Il tema relativo ai programmi di screening neonatale, soprattutto per malattie rare quali quelle metaboliche ereditarie, è uno dei temi più complessi e attuali della pediatria. Tra i tanti aspetti problematici di interesse per le diverse componenti implicate nel processo, ce ne sono almeno tre che rappresentano i principali punti di partenza per avviarci sulla strada della verifica e revisione della qualità delle prestazioni erogate nell’ambito di questo programma di salute pubblica preventiva di successo.
Il primo è quello dell’efficienza. In sanità, come noto, l’efficienza è il rapporto fra risorse impiegate (input) e servizi erogati (output) e viene misurata da indicatori di rendimento che permettono il monitoraggio della produttività delle risorse utilizzate in relazione ai volumi di attività prodotti dal sistema valutato, anche in comparazione a precisi benchmark di riferimento. La misurazione e il monitoraggio degli indicatori di efficienza di un sistema come quello dello SN permetterebbero di adottare misure condivise, magari anche prospetticamente comparate, tali da consentire la massimizzazione dei servizi erogati in relazione ai fattori produttivi impiegati e la minimizzazione dei costi di produzione. A nessuno sfugge la rilevanza che una simile stima, in termini di analisi comparativa per patologia o per centro, potrebbe avere nell’indicare azioni correttive di miglioramento.
Il secondo è quello delle equità. Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), istituito nel lontano 1978, si fonda sui principi indefettibili di universalità ed eguaglianza, veri e propri assi portanti della riforma tendenti ad assicurare la coesione sociale del Paese e contrastare le conseguenze sulla salute frutto delle disuguaglianze sociali, derivanti dalle diverse condizioni socioeconomiche dei singoli territori. Nel tempo, con l’incremento dell’età della popolazione generale e, relativamente all’età pediatrica, della prevalenza di minori affetti da patologie croniche prima intrattabili, alla tradizionale idea di eguaglianza in base alla quale individui con lo stesso stato di salute, o di bisogno, devono venire trattati allo stesso modo (equità orizzontale), si è progressivamente affiancata la convinzione che individui con stato di salute peggiore, ovvero con maggiori bisogni, devono venire trattati con maggiori attenzioni (equità verticale). In conseguenza di questa evoluzione del principio di eguaglianza si sono andati delineando tre diversi ambiti in cui il corollario dell’equità deve trovare concreta realizzazione: l’accesso ai servizi sanitari, i risultati di salute in capo ai singoli soggetti, l’allocazione delle risorse in misura proporzionate ai bisogni.
Anche su questo punto non possiamo tacere le iniquità orizzontali e verticali che il SSN, oggi per sua natura frammentato e scarsamente coordinato dopo la riforma del 2001 del titolo V della Costituzione, consente e non sembra in grado di ridurre. Nel merito, la SIMMESN deve prendere atto di queste realtà e attivarsi per migliorare la qualità dell’assistenza sull’intero territorio nazionale. Per fare ciò sarà necessario agire sullo sviluppo organizzativo dei diversi programmi regionali di SN, senza tralasciare la necessità di promuovere l’imprescindibile integrazione tra attività di laboratorio di screening e conferma diagnostica da una parte e centri clinici di riferimento dall’altra.
L’ultimo è il tema della sostenibilità orizzontale, ovvero la capacità di vivere entro i limiti, non solo delle risorse fisiche e naturali disponibili, ma anche di quelle sociali e dunque economiche attuali in maniera tale da consentire a tutti i sistemi organizzati in cui gli esseri umani sono incorporati di prosperare in perpetuo. L’astrazione planetaria del concetto di sostenibilità sembra dunque allontanare l’opinione pubblica, e anche molti operatori della salute, dalla rilevanza di considerare prioritariamente la nozione di sostenibilità immanente del sistema Paese, soprattutto in relazione alla possibilità di mantenere un SSN universale a fronte di un aumento esponenziale dei costi, specialmente tecnologici, necessari per mantenerlo. Oggi siamo dunque chiamati a chiederci se l’attuale programma di SN, recentemente esteso a 59 Malattie Metaboliche Ereditarie, sia sostenibile per il nostro Paese in misura equa e universale senza sacrificarne i necessari livelli di qualità.
A seguito dei recenti progressi tecnologici nel campo del sequenziamento genomico, inoltre, il potenziale di incorporazione di queste tecnologie nei programmi di screening neonatale è molto promettente, ma aggiunge costi da comparare e comporta implicazioni etiche che devono essere attentamente considerate per evitare di compromettere il soddisfacente livello di fiducia raggiunto nel nostro Paese relativamente a questo intervento di prevenzione secondaria. Noi riteniamo sia nostro dovere avviare un’analisi attenta e sistematica delle prestazioni attualmente erogate, valutando con attenzione le tante possibilità di efficientamento che un coordinamento e, perché no, una convergenza dei diversi programmi locali da regionali a sovraregionali, potrebbe offrire.
Senza un nostro pragmatico e accorto intervento programmatico si corre il rischio di vedere sempre più ridotto il livello qualitativo delle prestazioni di laboratorio e cliniche erogabili, senza poter minimamente sperare ci siano in un prossimo futuro le risorse necessarie per implementare, non solo un numero maggiore di interventi di prevenzione (altre 8 MME attendono avendo ricevuto parere favorevole condizionato), ma anche azioni di valutazione prospettica (registri di popolazione per valutare la reale efficacia anche in termini di costo/beneficio) di ciò che fino ad oggi abbiamo.
Considerando le potenzialità scientifiche e le risorse attuali, nel ‘migliore dei mondi possibili’ quale futuro immagina per la SIMMESN nel campo delle malattie metaboliche rare?
Noi siamo un Paese dalle enormi risorse soprattutto umane e dunque il futuro che mi immagino per la SIMMESN non può essere che roseo. Gli aspetti che oggi stiamo maggiormente promuovendo sono tre: consolidare il ruolo di interlocutore privilegiato delle istituzioni governative nazionali e regionali, promuovere la preparazione e il reclutamento di una nuova generazione di medici pediatri e non esperti in MME e SN, e da ultimo vedere il nostro Paese sempre più considerato e preso a modello per lo studio, la prevenzione e il trattamento di questi malati che, per quanto rari, non accettiamo più che restino invisibili.
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